Senza la democrazia, non ci sarà mai la pace

di Dario R.

Dario è uno studente di seconda Liceo Classico, di Cagliari, che, grazie ai suoi approfondimenti, ha potuto riflettere sulla drammatica situazione in Medio Oriente. Ringraziandolo per il suo contributo, pubblichiamo la sua attenta riflessione

Lo stato di Israele come lo conosciamo oggi è il prodotto di una serie di passaggi e di flussi migratori di popolazione Ebraica che hanno interessato quest’area. La regione che oggi è l’odierno Israele è una zona che è stata abitata fin dai tempi più antichi, con un susseguirsi di popoli che l’hanno abitata, tra cui cananei , egizi, israeliti, filistei, assiri, babilonesi, romani, bizantini, arabi, crociati e ottomani.
Ma per risalire alla fondazione dell’odierno Stato di Israele, dobbiamo risalire al
1947.
A seguito dei terribili fatti della II guerra mondiale, che portarono alla morte di quasi
6.000.000 di Ebrei e alla fuga dai territori controllati dalla Germania di molti altri, il
movimento Sionista si rafforzó e iniziò a spingere sulla comunità internazionale
affinché si creasse uno stato ebraico in Palestina.
Nel 1947 l’Assemblea dell’ONU propose e votò a maggioranza (33 voti a favore, 13
contro e 10 astenuti) un piano di spartizione della Palestina, che prevedeva la
creazione di uno Stato ebraico e di uno arabo con Gerusalemme sotto controllo
internazionale. Durante il momento delle decisioni su come spartire il territorio si
considerò, per evitare possibili rappresaglie da parte della popolazione araba, la
necessità di unire all’interno del futuro stato tutte le zone dove i coloni ebrei erano
già presenti in modo significativo, e questa decisione portó all’assegnazione del
56,4% del territorio designato allo Stato di Israele. Lo Stato ebraico che venne
proposto avrebbe avuto quindi una popolazione residente in maggioranza composta
da ebrei, circa 498.000, mentre lo stato arabo sarebbe stato abitato in prevalenza da
arabi, circa il 99%. La zona internazionale, costituita dalla città di Gerusalemme,
avrebbe avuto una presenza di 100.000 ebrei e 105.000 arabi.
A questi numeri si sommavano una circa 90.000 Beduini nomadi, presente nella
zona di Beersheba. Il piano venne accolto favorevolmente dalla maggior parte della
comunità ebraica, anche se gruppi più estremisti, la rifiutarono, e venne rifiutato con
motivazioni vaghe dalla comunità palestinese e dai paesi arabi.

Lo Stato d’Israele venne proclamato il 14 maggio 1948.
Lo stesso 15 maggio 1948 gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Giordania,
attaccarono lo Stato di Israele. L’offensiva venne bloccata dall’esercito israeliano, e
le forze armate arabe vennero obbligate a ritirarsi. Israele conquistò svariate città e
villaggi palestinesi. La Guerra arabo-israeliana del 1948 si concluse con l’armistizio
di Rodi.
Nel 1956 il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser nazionalizzò il canale di Suez,
canale artificiale che collega il Mediterraneo è il Mar Rosso, e lo chiuse alle navi
commerciali di Israele. Questo intervenne militarmente, procedendo con un attacco

militare contro l’Egitto, ottenendo numerose vittorie e annettendo la striscia di Gaza
e la penisola del Sinai. Nel 1967 scoppiò la guerra dei sei giorni, quando Israele
decise nuovamente di sferrare un attacco preventivo, conquistando la Cisgiordania,
compresa Gerusalemme Est, la striscia di Gaza, la penisola del Sinai e le alture del
Golan. Fino al 1970 il paese fu impegnato nella guerra d’attrito con l’Egitto.
Con un susseguirsi di crisi con i paesi arabi e con gli Arabi Palestinesi con cui vivono
a contatto, gli Ebrei di Israele sono in continuo conflitto con questi ultimi, soprattutto
nell’ultimo periodo, in seguito ai terribili fatti degli attentati di Hamas e alla ugual
terribile risposta da parte di Israele. Perché quando ci vanno di mezzo vite innocenti,
civili, donne, bambini, nessuno ha ragione in un conflitto. Nessuno ha ragione in una
guerra, non c’è il buono e il cattivo. Il conflitto in Palestina è solo il risultato di un odio
senza fine, che corrode gli animi delle persone e fa in modo che non ci sia mai la
pace. In una polveriera come il medio oriente, in cui la pace è difficile in quanto
abitata da centinaia di popoli di etnie, religioni e lingue diverse, l’unica risposta è la
democrazia, un governo che dia pari diritti a tutti e non permetta che accadano fatti
orribili come quelli che si susseguono in questi luoghi da anni. Senza la democrazia,
non ci sarà mai la pace, e senza la pace, non ci sarà mai democrazia.

2 pensieri riguardo “Senza la democrazia, non ci sarà mai la pace

  1. Da EVANGELII GAUDIUM

    Il tempo è superiore allo spazio

    222. Vi è una tensione bipolare tra la pienezza e il limite. La pienezza provoca la volontà di possedere tutto e il limite è la parete che ci si pone davanti. Il “tempo”, considerato in senso ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio.
    223. Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci.
    224. A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana. La storia forse li giudicherà con quel criterio che enunciava Romano Guardini: «L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca».[182]
    225. Questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. Il Signore stesso nella sua vita terrena fece intendere molte volte ai suoi discepoli che vi erano cose che non potevano ancora comprendere e che era necessario attendere lo Spirito Santo (cfr Gv 16,12-13). La parabola del grano e della zizzania (cfr Mt 13, 24-30) descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo.

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