Il sessismo quotidiano

di Daniele Madau

Ascolto con rabbia e sorpresa crescente i particolari e capisco quanto sia diffuso, a un passo da me, da tutti noi, e quanto sia ancora socialmente accettato, poco compreso e, in fin dei conti, interiorizzato: spesso – putroppo – anche dalle vittime stesse.

Parlo del sessismo, del maschilismo che si concretizza in violenza psicologica e in discriminazione se non, lo sappiamo benissimo, in violenza fisica, come da stillicidio quotidiano. Stillicidio a cui assistiamo storditi, quasi increduli, con un senso profondo d’impotenza che si scontra col desiderio struggente di proteggere – purtroppo quando non è più possibile – ogni vittima.

Elenco, di seguito, quanto emerso dai media la scorsa settimana, a cui dobbiamo aggiungere un sommerso decuplicato. Secondo il rapporto della ‘Fondazione Libellulla’, una donna su due è vittima di molestie sul lavoro. Una ragazza nigeriana viene aggredita dal suo datore di lavoro per avere richiesto il compenso pattuito. Una donna viene uccisa dal figlio, invasato dal mito del padre violento che, dal carcere, continua a inviargli messaggi di sopraffazione e prevaricazione. Dopo tre anni viene riconosciuto come colpevole di femminicidio il compagno di una, ennesima, vittima. Inoltre, mi capita di rileggere della vergogna di Montalto di Castro, dove un intero paese ha appoggiato e giustificato tre stupratori, abbandonando nell’isolamento più doloroso la vittima. La frase simbolica è di Vittorio Bricca, pensionato settantenne che, seduto in piazza, dice: «Avessi avuto diciassette anni, mi sarei messo in fila e anch’io sarei andato con quella»

A tutto questo, di cui si può leggere in una normale giornata d’agosto, questa volta però devo aggiungere quanto sentito direttamente da me, in un’altra normale serata d’agosto, davanti a un aperitivo, dentro l’affollamento maleducato e spersonalizzante di una piazza cuore della ‘movida’ cittadina. Parla una mia coetanea, educatrice, che conosco da anni, e che mi ha sempre nascosto – perché forse non ritenuti degni di attenzione o, semplicemente, perché solo ora abbiamo avuto più confidenza e fiducia uno nell’altra – certi atteggiamenti, sempre al limite tra il sessismo e la scelta d’opportunità, di sicuro pesanti, d’ignoranza, di società non evoluta.

‘A noi educatrici’- così mi dice, forse con rassegnazione, di sicuro con consapevolezza – ‘capita molto spesso che i padri si invaghiscano. Arrivano nelle loro case ragazze giovani, carine, sorridenti, dolci, che si occupano dei loro figli. Un giorno, uno di loro – dopo che mi ero opposta a passare in gita un fine settimana con lui e la figlia – ha cominciato a mettere in giro voci false su di me. In quel luogo seguivo due famiglie e l’asssistente sociale ha deciso di non farmi continuare con nessuna delle due. La cooperativa, poi, non mi ha rinnovato il contratto, che durava già da tre anni’.

Lei lavora anche in ambito scolastico ed è capitato fosse oggetto di pesanti attenzioni anche da parte dei docenti, fatto di una gravità tanto grande quanto poco conosciuta. Denunciare o far sentire la propria voce? La sua considerazione è tanto forte, quanto lucida, umiliante per tutti noi, tutta la società e, nello specifico, per il sistema scolastico: ‘Sono una educatrice e non un docente. E’ facile farmi fuori come nulla.’

La frequenza di situazioni simili è molto alta.

E’ grave questo? O è la prassi normale, storture accettabili di una società che presenta posizioni di forza e di debolezza?

E’ gravissimo, perché ha ricadute psicologiche, lavorative, sul benessere delle donne, sui loro diritti. Perché qualifica una società e i suoi uomini, ancora – come capita, purtroppo – protetti, giustificati, tutelati nella loro posizione di forza.

Cosa dire? Come reagire? Tutti noi siamo coinvolti, interpellati e responsabili. Ogni volta in cui non invochiamo un diritto e non denunciamo un sopruso, perché non contribuiamo alla creazione del mosaico della società dei diritti e dell’inclusione, che ha bisogno del tassello di ognuno.

Ogni volta in cui, dall’episodio meno violento a quello più violento, facciamo in modo che una vittima si senta sola, è una ferita profonda in una società, che si rimarginerà in tempi lunghissimi, come quando una macchia di petrolio insozza il mare.

E tutto questo è più vicino di quanto pensiamo ma, forse, una società meno pronta a proteggere è anche più comoda, per tutti noi.

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